L’obbligo di stare in casa, imposto dai provvedimenti attuati per contrastare il diffondersi della pandemia di COVID 19, ha messo a dura prova la nostra associazione.
Mai avremmo immaginato che potesse avvenire una cosa simile. Questo virus ci ha messo in ginocchio e non solo dal punto di vista della salute, dell’economia, dell’occupazione ecc. Come associazione il virus ci ha evidenziato alcune criticità, portandoci a dover decidere quale strada intraprendere. Al momento si intravedono due alternative: rinnovarci e continuare o lasciare le cose come sono e avviarci verso una lenta estinzione.
Cerchiamo di spiegarci meglio! Tutte le nostre attività si basano su obiettivi riassumibili in:
Obiettivi nei confronti degli associati/pazienti/caregiver
Obiettivi nei confronti della comunità e delle istituzioni
Tutte le nostre iniziative verso i soci hanno teso a creare attività che hanno favorito il benessere fisico, la vicinanza, lo stare insieme, la condivisione, il contatto fisico ed emozionale. Per quanto riguarda i rapporti con la comunità e le istituzioni, ci siamo proposti con eventi originali nei contenuti e attrattivi dal punto di vista della partecipazione. Al riguardo, ricordiamo alcuni eventi tra i più recenti: “Note per la solidarietà edizione 2019” circa 900 presenze; “L’inguaribile voglia di vivere edizione 2019” circa 200 presenze; rappresentazioni teatrale “Si! ma prima cosa c’era!??” circa 600 persone; presentazione del libro “Non chiamatemi Morbo” circa 260 partecipanti.
Con l’arrivo del COVID 19 abbiamo sospeso tutte le attività che, per ovvie ragioni, potessero essere occasione di incontro: segreteria/sportello informativo, incontri pubblici, attività di fisioterapia (individuale o di gruppo), laboratorio teatrale, corso di Kick boxing, Training del cammino, Tango-terapia; è stato, inoltre, posticipato l’avvio dei corsi di ceramica e di pittura.
Si è scritto e detto parecchio su questa tragedia, ma non si è mai evidenziato come in questo periodo le persone affette da malattia cronica o da altre disabilità siano diventate ancora più fragili. Oltre a essere fisicamente più vulnerabili agli effetti del virus, i pazienti – e con loro i caregiver – si sono improvvisamente trovati senza sostegno, con la chiusura dei centri diurni e, in certe situazioni, con carenza dei servizi di assistenza e di supporto domiciliari.
Con la sospensione di tutte le attività, ai nostri pazienti e ai loro caregiver sono venuti a mancare i momenti terapeutici e di aggregazione. Ognuno si è trovato a casa, solo, senza riferimenti certi e senza avere accesso nemmeno ai medici di base e agli specialisti presso gli ambulatori ospedalieri.
Al disagio fisico e pratico si è aggiunto, quindi, un disagio psicologico.
Questo periodo di permanenza obbligatoria a casa ha colto la nostra associazione impreparata a dare risposte tempestive.
Come segreteria abbiamo messo a disposizione alcuni documenti (invio con mail e WhatsApp, pubblicati su Facebook e nel capitolo “coronavirus” del sito www.aipbegamo.it) quali: Lettera del Presidente, Riflessione del dr E. Morelli, nota su Come vivere con la malattia di Parkinson nei giorni del Coronavirus, filmati su esercizi da fare a casa preparati dai nostri istruttori di kick-boxing e training del cammino .
Inoltre, c’è stato e c’è tuttora un pullulare di messaggi, video, fotografie, news (purtroppo anche fake news) che fanno trasparire una grande voglia di ascoltare, informarsi, raccontare e mantenersi in contatto. Partendo dai partecipanti alle varie attività, sono nati gruppi WhatsApp che si sono auto alimentati e che, nonostante facciano capo all’associazione, sono da definire spontanei.
È stato infine attivato uno sportello telefonico gratuito di ascolto e supporto gestito dalla psicologa dr.ssa Chiara Gianati.
Queste sono le risposte che siamo stati in grado di attivare. Tuttavia, pensiamo che una associazione di pazienti come la nostra, in un momento critico come quello che stiamo attraversando, debba riflettere per individuare le labilità e cercare di migliorarsi.
Per la nostra associazione, ma pensiamo anche per altre, appare scontato e inderogabile ipotizzare un adeguamento alla nuova situazione.
Un tema dove certamente possiamo – e dobbiamo – migliorare è la comunicazione tra noi. Dobbiamo acquisire padronanza delle nuove tecnologie. Proviamo a pensare, per esempio, alla possibilità di fare una seduta di fisioterapia online. Proprio come avviene nei nostri gruppi, la fisioterapista vede tutti i partecipanti e può fornire loro le indicazioni del caso, mentre i pazienti, anziché essere insieme in palestra, sono collegati dalla propria abitazione e vedono il terapista su uno schermo o sul televisore.
Immaginiamo anche un gruppo di ascolto per caregiver o una riunione del nostro Direttivo che, al posto di ritrovarsi intorno a un tavolo, discute in videoconferenza.
Certamente questo è il primo passo da fare, ma occorre tenere ben presente la tipologia della nostra utenza poco orientata verso soluzioni informatiche. Quindi, oltre agli investimenti per attrezzature e software, andrà prevista una forte azione di formazione.
Un altro punto dove dobbiamo svilupparci e crescere è quello di arrivare a essere pazienti consapevoli. Con questo termine si vuole intendere il paziente che conosce i propri diritti, deciso ad affermare la sua condizione di cittadino non più “beneficiario” passivo, bensì contraente, e, come tale, in grado di contrattare le cure di cui ha bisogno.
L’obiettivo delle associazioni è quello di rivendicare un ruolo da protagonista, che veda il paziente-cittadino partecipare attivamente – assieme ai medici e agli amministratori – alle scelte di politica sanitaria, vedendo al tempo stesso rispettate le sue prerogative di “persona consapevole” nell’ambito della scelta e della gestione della propria cura.
Noi dobbiamo lavorare per migliorare la qualità di vita dei malati e dei loro familiari, auspicando che il paziente Parkinsoniano possa essere monitorato e indirizzato verso percorsi di tipo medico, riabilitativo e socio-assistenziale adeguati alle reali necessità del paziente stesso.
Noi non curiamo la malattia, ma lavoriamo per migliorare la qualità di vita dei pazienti
Grazie alla conoscenza delle reali esigenze del paziente nella vita quotidiana, le
associazioni si configurano come un importante interlocutore per le autorità, tra cui la Regione e i vari gestori.
Fino a poco tempo fa le associazioni di pazienti avevano come scopo quello di creare aggregazione e raccogliere fondi. Per l’immediato futuro, pur continuando un’attività per la creazione di iniziative di cui si è detto sopra, dovrebbero invece diventare un punto di riferimento per l’analisi dei bisogni, la valutazione dei servizi, l’individuazione dei disservizi e delle criticità.
Le associazioni dovrebbero poi partecipare ai “tavoli decisionali”, dove devono essere un
interlocutore paritetico e autorevole nei confronti degli altri attori (i medici, l’industria farmaceutica, lo Stato).
Ci auguriamo che l’esperienza maturata con il COVID 19 sia uno stimolo per le associazioni esistenti ad adeguarsi alla nuova situazione.